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Massimo Di Quirico

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Gli scritti di Antonio Pezzullo









I “miei” Caravaggio
(Una selezione dei migliori dipinti del genio)


TERZA PARTE
I dipinti a Roma


Michelangelo Merisi, detto il “Caravaggio”, oggi è unanimemente considerato come uno dei più grandi pittori di tutti i tempi. Ma non è stato sempre così: famoso durante la sua vita, fu dimenticato per molto tempo dopo la sua scomparsa ed è stato poi riscoperto solamente a partire dalla metà del Novecento.  

Sin dai banchi di scuola mi sono appassionato alla sua arte rivoluzionaria ma solo col tempo sono riuscito ad ammirare dal vivo una buona parte dei suoi quadri più famosi, tra cui molti sparsi per il mondo.
Questa mia personale “galleria” dipende ovviamente dai luoghi che ho visitato.

Dopo aver parlato delle opere viste all’Estero (prima parte), delle opere viste in Italia (seconda parte), in questa terza parte riporto tutti i suoi capolavori che ho visto nella “città eterna”.

Le seguenti foto sono esclusivamente le mie personali (all right reserved), salvo quelle dove è diversamente indicato.


ROMA


La città eterna è stata la testimone principale dell’affermazione del genio dell’artista. Qui ci sono ancora oggi il maggior numero delle sue opere, ben 26, sparse tra numerose e bellissime chiese, prestigiosi musei e collezioni private.
La città di Roma è famosa anche per la presenza di grandiose Basiliche che testimoniano la centralità e l’importanza del culto cattolico, basti pensare alle “Magnifiche 4” come quelle di San Pietro in Vaticano, San Paolo fuori le mura, San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore. Tuttavia, esistono numerosissime chiese, meno note, che custodiscono tesori inestimabili, tutte da scoprire.

CHIESA DI SAN LUIGI DEI FRANCESI

A Roma è possibile trovare dietro ogni angolo chiese meno note che custodiscono grandi opere d’arte. Una di queste si trova nel rione di Sant’Eustacchio: è la chiesa di San Luigi dei Francesi. Considerata la chiesa nazionale dei francesi di Roma, dal punto di vista artistico è un'esaltazione della Francia attraverso la rappresentazione dei suoi santi e dei suoi personaggi storici.
In particolare, la chiesa presenta due luoghi che raccolgono capolavori dell'arte Seicentesca. La cappella di Santa Cecilia è adornata con affreschi di storie della santa del Domenichino e, sull'altare, presenta una copia rifatta da Guido Reni dell’estasi di Santa Cecilia di Raffaello. Tuttavia, la cappella più famosa è un’altra.









Cappella Contarelli

La cappella Contarelli presenta uno dei trittici più entusiasmanti dell’intera opera del Caravaggio. Fu la sua prima committenza pubblica: il cardinale Matteo Contarelli, prima di morire, non solo aveva incaricato di decorare la propria cappella nella chiesa di San Luigi dei Francesi, ma aveva anche descritto dettagliatamente quanto vi voleva riprodotto, ossia un ciclo sulla vita di San Matteo. Il cardinale non visse abbastanza per ammirare i tre capolavori ma l’artista, tramite le sue opere, avrebbe contribuito a rendere celebre il suo nome nei secoli successivi. La cappella ha tre grandiose tele: a sinistra si trova la Vocazione di San Matteo, a destra il Martirio di San Matteo mentre al centro troviamo San Matteo e l’Angelo.

Cappella Contarelli – Chiesa di San Luigi dei francesi


Vocazione di San Matteo (1599) - Olio su tela - 322x340 cm

È uno dei più grandi capolavori di Caravaggio che costruisce la scena intorno ad un banco delle imposte, collocato in una stanza buia simile al suo studio dove dipingeva. Nella storia dell’arte non si era mai visto prima di allora un fascio di luce così accecante che taglia il buio come una lama, illuminando la stanza a giorno. Essa però non penetra dalla finestra perché è una luce divina. Tutta la celebre scena evangelica si svolge tra presente, passato e futuro.



A destra, nella penombra ci sono Gesù e Pietro appena entrati e vestiti come al loro tempo mentre tutti gli altri personaggi indossano abiti seicenteschi. La mano di Gesù, protesa in avanti, ricorda quella di Adamo nella Cappella Sistina e guida la luce per indicare e chiamare Matteo: «Seguimi!». I due personaggi all’estrema sinistra del tavolo sono intenti a contare i soldi e non si accorgono di nulla. I personaggi a destra invece, che sono delle giovani guardie, sono attirati dalla luce. Matteo è al centro, ha ancora la mano destra sul banco mentre guarda Gesù sbalordito indicando con la mano sinistra a sé stesso: «Chi io?». La scena è di una bellezza assoluta e di una comprensione immediata, è un istante passato alla storia. Il critico d’arte Vittorio Sgarbi ha affermato che con quest’opera Caravaggio fissa sulla tela uno scatto fotografico, usando però solo pennelli e colori.
È uno dei capolavori assoluti del grande maestro ed uno dei miei dipinti preferiti!


Martirio di San Matteo (1599) - Olio su tela - 323x343 cm



La seconda tela si trova a destra. La scena è tutto incentrata sulla figura di un carnefice che sta per martirizzare San Matteo. Anche se la struttura architettonica della scena ricorda vagamente una chiesa, il pittore rappresenta il martirio del Santo come se si trattasse di un assassinio lungo una strada, cioè trasferisce un episodio della storia sacra nella vita di ogni giorno, per conferire una veridicità e una forte componente emotiva.

A differenza della luce accecante della Vocazione, nel Martirio la luce che illumina la scena è di tipo crepuscolare. Al centro si trova il Santo che, ferito ma non ancora morto, alza la mano per prendere la palma (simbolo del martirio) che un Angelo gli sta calando dall’alto.
A sinistra del carnefice, assistono alla spietata esecuzione alcuni spettatori inermi, tra cui s’intravede in fondo un autoritratto dello stesso Caravaggio che invece esprime con lo sguardo una grande compassione.






San Matteo e l’Angelo (1602) - Olio su tela - 295x195 cm


I primi due dipinti riscossero un successo immediato, spingendo gli eredi della famiglia Contarelli a commissionare una terza tela destinata alla parete centrale, nel fondo della cappella, avente sempre come soggetto una storia legata al ciclo di San Matteo.
Nel suo testamento, il cardinale Contarelli aveva precisato che la pala d'altare doveva avere delle precise misure con «San Matteo in sedia con un libro o, volume, nel quale mostri o di scrivere o voler scrivere il vangelo ed a canto a lui l'angelo in piedi maggior del naturale in atto che paia di ragionare o in altra attitudine».

L’artista fece una prima versione del quadro che fu rifiutata in quanto non era piaciuto il modo in cui Matteo era stato raffigurato, ossia molto realisticamente come un rude uomo del popolo che si faceva aiutare da un angelo a scrivere il Vangelo. Questa prima versione del quadro, che fu acquistato dal marchese Giustiniani, dopo vari passaggi purtroppo verrà distrutto a Berlino durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale.


Su richiesta della committenza, Caravaggio fece una versione meno cruda, attenendosi ad un'iconografia più tradizionale, dove si vede San Matteo che ha l'aspetto di un anziano dotto che scrive di suo pugno il Vangelo, ispirato da un Angelo apparso alle sue spalle, che computa con le dita l'inizio del Vangelo, riassumendo la stirpe divina di Cristo che discende dal Re Davide. Come nella tradizione cattolica, l’uomo collabora con Dio ed il messaggio risulta chiaro ed immediato per i fedeli.
Lo sgabello che sembra debordare dal quadro stesso è un altro pezzo di bravura!

CHIESA DI SANTA MARIA DEL POPOLO

Cappella Cerasi


Chiamata anche Cappella dei Santi Pietro e Paolo o dell’Assunta, questa cappella fu acquistata dal ricco monsignor Cerasi, tesoriere del Papa, che inizialmente commissionò al Caravaggio due pitture su tavole di cipresso che riguardavano gli apostoli Pietro e Paolo. Dopo averle dipinte, queste due tavole furono però sostituite dalle attuali tele. Non si sa con certezza perché furono sostituite ma resta il fatto che la tavola di San Paolo è ancora oggi conservata a Roma in una collezione privata (Odescalchi) mentre quella di San Pietro se ne sono perse le tracce.
La cappella Cerasi presenta al centro, come pala d’altare, una grande tela della Madonna Assunta, dal classico stile iconografico, ad opera di Annibale Carracci, un grande pittore contemporaneo di Caravaggio anche se era di una decina d’anni più grande. Caravaggio, per il suo carattere orgoglioso, non aveva una grande considerazione dei pittori suoi contemporanei, dovuto anche alle rivalità per accaparrarsi le committenze. Uno dei pochi pittori contemporanei che Caravaggio apprezzava era proprio Annibale Carracci, per il quale aveva manifestato la sua ammirazione allorché, avendo visto una sua opera, la Santa Margherita particolarmente realistica nella chiesa romana di Santa Caterina dei Funari, aveva affermato: «Mi rallegro che al mio tempo veggo pure un pittore». In quel quadro, Caravaggio intravedeva una prima “rivoluzione” della pittura appiattita del suo tempo, di cui sarebbe stato il principale artefice.
Caravaggio ebbe dunque la commissione di dipingere le tele laterali quando l’Assunta era già presente e quindi non voleva sfigurare nei confronti del Carracci. Da un lato dipinse la tela con protagonista San Pietro, dall’altro la tela con protagonista San Paolo, ossia i due patroni della città di Roma.


Crocifissione di San Pietro (1600-1601) - Olio su tela - 230x175 cm



La Crocifissione di San Pietro è ispirata al racconto tratto dagli Atti di Pietro. Il discepolo si trova a Roma durante la persecuzione dei cristiani. Per evitare il martirio fugge e mentre sta lasciando Roma gli appare Gesù che sta andando invece nella direzione opposta con una croce sulle spalle. San Pietro allora gli chiede: «Signore, dove vai?» (Domine, Quo vadis?). Gesù gli risponde che va a Roma per farsi crocifiggere una seconda volta. Pietro allora capisce e torna indietro per restare vicino alla prima comunità cristiana. Quando viene catturato, chiede ai suoi aguzzini di essere crocifisso a testa in giù, per umiltà nei confronti del Signore, giudicandosi non degno di morire alla sua stessa maniera.
Caravaggio sceglie di raffigurare questa storia nel momento meno nobile, quando la croce, con Pietro già inchiodato, sta per essere innalzata con fatica. Caravaggio raffigura di spalla gli altri tre protagonisti della scena che, più che aguzzini, sembrano dei lavoratori vestiti in abiti seicenteschi che stanno lì per fare il loro lavoro di routine. Lo sfondo della scena appare tutto scuro, per far risaltare la tensione drammatica dei corpi ma in realtà nello sfondo c’è una rupe rocciosa. Questa scelta è un'allusione al significato del nome di Pietro ed al passo evangelico che lo richiama: "E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa"
In questo sfondo scuro, Caravaggio illumina il centro della scena con una potente luce che converge su Pietro, il quale si sta leggermente sollevando dalla croce con grande sforzo, torcendo il suo corpo per intero, per rivolgere lo sguardo e la mente presumibilmente verso qualcosa che non si vede e che è al di là della scena: il suo Maestro.

È tutto così realistico che non c’è nulla di trascendente in questa rappresentazione. Ancora una volta, il grande realismo di Caravaggio domina la scena e restituisce un effetto drammatico intenso e commovente.


Conversione di San Paolo (1600-1601) - Olio su tela – 230 x 175 cm

Saulo, un ebreo che perseguitava i primi cristiani, sulla via di Damasco riceve la chiamata del Signore e diventa Paolo. Il celeberrimo episodio tratto dagli Atti degli Apostoli è stato ripreso e rappresentato da tanti artisti in ogni tempo. Uno dei biografi di Caravaggio, Pietro Bellori, nel descrivere questo quadro, rimase sconcertato dal fatto che il pittore riuscì ad illustrare questa storia sacra senza rappresentare un’azione («la quale istoria è affatto senza azione»). Oggi diremmo che Caravaggio preferì scattare una fotografia piuttosto che girare un video. Ma questo “fotogramma” lo dipinge in una maniera unica: riempie la grande tela con un protagonista che non ti aspetti, ossia un cavallo. L’azione è avvenuta già prima della rappresentazione pittorica. Mentre Saulo era saldamente in sella al proprio cavallo sulla via di Damasco, Gesù gli è apparso all’improvviso ed ha pronunciato la celebre frase: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Saulo è stato disarcionato ed è caduto a terra, accecato dalla luce.



Il grande pittore illustra con un forte realismo questo istante preciso dello stravolgimento interiore del futuro apostolo delle genti: i suoi occhi sono chiusi e le sue mani tese verso l’alto, da dove proviene la luce. Gesù gli sta parlando ma solo lui lo vede e lo sente, è una visione interiore. Al contrario lo stalliere tiene fermo il cavallo e non percepisce nulla: come a dire che la chiamata del Signore è un dono che solo pochi percepiscono.
È un altro colpo da maestro, estremamente realistico: è l’istante in cui Saulo diventa Paolo, in un quadro apparentemente di silenzio e di non azione, che ci racconta di una conversione che prelude alla grandiosa azione dell’apostolo delle genti, il più eloquente, che diffonderà la parola cristiana in ogni angolo dell’impero romano.
Il dipinto è un altro capolavoro che rientra tra i miei preferiti!

CHIESA DI SANT’AGOSTINO

Madonna dei Pellegrini (1604-06) - Olio su tela - 260x150 cm


Il dipinto fu commissionato dal proprietario della Cappella Cavalletti, un funzionario della tesoreria papale che era molto devoto alla Vergine di Loreto. Secondo un’antichissima tradizione cristiana, dentro la Basilica di Loreto si troverebbe la casa di Nazareth dove visse Maria. Questa casa è essa stessa una grande reliquia ed i pellegrini, oggi come allora, arrivano in ginocchio fino all’entrata. La leggenda vuole che questa casa l’abbiano portata gli angeli in volo mentre probabilmente furono i crociati. È comunque accertato che quell’antica ed umile casa proviene dalla Palestina. Caravaggio con quest’opera stravolge la tradizionale iconografia, raffigurando la Madonna dei Pellegrini (detta anche Madonna di Loreto) in una nuova veste. Fino ad allora, essa era stata raffigurata tradizionalmente in trono dentro un'edicola oppure seduta sul tetto della sua casa, che gli angeli sorreggevano e portavano in volo verso Loreto, secondo l’antica leggenda. Caravaggio invece dipinge una bellissima Madonna “al naturale” che, sullo stipite della porta della sua casa col bimbo in braccio, si affaccia ed accoglie due poveri pellegrini in preghiera. Inoltre, l’artista raffigura la Vergine con le sembianze di Lena Antognietti, una nota cortigiana della Roma del tempo che Caravaggio prende come modella. Proprio per questo, uno dei suoi biografi, il pittore Giovanni Baglione, raccontò che «da popolani ne fu fatto estremo schiamazzo». In effetti, l’artista aveva rappresentato la Madonna attraverso una figura nota, viva e reale, così come aveva rappresentato i pellegrini come realmente li aveva visti nel grande giubileo del 1600: poveri, coi piedi scalzi, gonfi e sporchi per il lungo cammino, dato che il pellegrinaggio all’epoca si faceva a piedi scalzi. Nonostante ciò, il dipinto non fu rifiutato. La grande tolleranza dei padri agostiniani, che erano abituati ad accogliere tutti in questa chiesa, fece sì che, nonostante lo “schiamazzo”, questa magnifica opera rimase sull’altare. È un altro dei miei capolavori preferiti del maestro!


MUSEI VATICANI

La Deposizione (1602/04) - Olio su tela - 300x203 cm



Nella Roma del tempo attraversata da un grande fermento artistico, le commissioni pittoriche pubbliche erano frequenti e nella cappella Vittrici della chiesa di Santa Maria in Vallicella, celebre sede dell'Oratorio di San Filippo Neri, Caravaggio completò La Deposizione nel 1604. L’opera fu particolarmente apprezzata dal committente e riscosse fin da subito un successo incondizionato. Anche coloro che l’avevano sempre criticato per il suo modo di dipingere al naturale, come il biografo Pietro Bellori, racconta che questo quadro «era tenuto meritatamente in istima» perché era «tra le migliori opere che uscissero dal pennello di Michele». Nel 1797 il dipinto fu trafugato dai soldati napoleonici e portato a Parigi. Fu restituito al Papa solamente nel 1816. Quando però lo ricevette, il Papa lo considerò così prezioso che non lo rimise più nella sua chiesa d’origine ma lo trasferì nella Pinacoteca Vaticana.
L'opera, nel suo insieme semplice e grandiosa allo stesso tempo, ritrae il momento drammatico in cui il corpo di Gesù morto sta per essere appoggiato su una grande lastra di pietra, che andrà a chiudere il sepolcro. Essendo concepita come una pala d’altare, i fedeli potevano guardare la scena dal basso, dal punto di vista della base del sepolcro. È come se lo spettatore vedesse il sacro corpo calato piano piano nel suo spazio reale. La lastra di pietra qui ha anche un preciso significato biblico: la pietra scartata (Gesù) dai costruttori (ebrei) è diventata la testata d’angolo della nuova religione, il Cristianesimo. La luce divina illumina, oltre al Cristo morto, innanzitutto le figure dell’apostolo Giovanni che lo tiene per la schiena e di Giuseppe d’Arimatea (detto anche Nicodemo) che lo tiene per le gambe: quest’ultimo ha le chiare sembianze (come atto d’omaggio) di Michelangelo Buonarroti. La plasticità della scena ricorda vagamente la celeberrima scultura de “La Pietà” del grande maestro fiorentino.
Dettaglio della Deposizione – Foto da Internet

Dietro, in uno sfondo nero che rappresenta il lutto, emergono le figure delle tre Marie che manifestano tutto il loro immenso dolore, in maniera intensa ma diversa: la prima, Maria di Cleofa, alza le braccia desolatamente verso l’altro, la seconda, Maria Maddalena, porta il velo agli occhi mentre la terza, Maria madre di Gesù, ha chinato lo sguardo verso il corpo senza vita del figlio. Una scena grandiosa, diretta ed immediata, dalla strepitosa resa pittorica, estremamente realistica e dalla notevole emotività espressiva, che colpiva immediatamente i fedeli e i pellegrini, ieri come oggi.
È un altro dei miei capolavori preferiti del grande maestro.

GALLERIA BORGHESE

La Galleria Borghese è stata definita la “Delizia di Roma” per la bellezza del complesso residenziale e delle opere in essa contenute. Per il numero e l'importanza delle tele del Caravaggio e di altri artisti del Rinascimento, delle sculture antiche, di quelle barocche di Gian Lorenzo Bernini e neoclassiche di Antonio Canova, il museo è uno scrigno di tesori inestimabili che furono accumulati nel tempo da una delle famiglie romane più importanti di sempre, che diede i natali a cardinali e papi famosi: i Borghese. Nel 1902 lo Stato Italiano acquisì l’intero complesso di villa Borghese, compreso la Galleria ed i suoi tesori: l’operazione fu definita l'affare del secolo.
G.L. Bernini - Il ratto di Proserpina

Le opere del Caravaggio sono attualmente collocate nella Sala VIII, detta del Sileno, poiché la volta dipinta rappresenta un sacrificio a Sileno, che nella mitologia classica è il Dio del vino antecedente a Dionisio. Questa sala custodisce ben sei capolavori del maestro: “Fanciullo con canestro di frutta”, “Bacchino malato”, “Madonna dei Palafrenieri”, “David con la testa di Golia”, “San Girolamo” e “San Giovanni Battista”.

Vediamoli allora, uno per uno, questi capolavori che sono situati in un complesso museale di estrema bellezza.



Fanciullo con canestro di frutta (1593/94) - Olio su tela - 74x78 cm

Quando arrivò a Roma per la prima volta, Caravaggio andò “a bottega” del Cavalier d’Arpino, un noto pittore manierista locale. Nei primi tempi, il giovane Caravaggio fu adibito soprattutto a dipingere mezze figure e splendide nature morte, come si ammira in questo quadro. Nella stessa bottega c’era anche un giovane pittore siciliano, Mario Minniti, che probabilmente è proprio lui il ragazzo ritratto in questo dipinto.
Caravaggio ritrae il ragazzo senza idealizzazioni, con i lineamenti tipici di un ragazzo del suo tempo e con estremo realismo. Nella sua bellezza, anche la frutta non è perfetta, presenta quelle piccole imperfezioni così reali e naturali come la macchiolina, la rigatura, ecc.
Il dipinto rappresenta una Vanitas, ossia una riflessione sulla caducità della vita, una specie di manifesto pittorico del “Sic transit gloria mundi”, la celeberrima frase latina che letteralmente significa “così passa la gloria del mondo, qui intesa in senso lato “come sono effimere le cose del mondo”.
Tempo dopo, insieme al “Bacchino malato” ed al “Ragazzo che monda un frutto” queste opere vennero requisite, nella bottega del Cavalier d’Arpino, dagli emissari di papa Paolo V per ragioni fiscali. Fu lo stesso papa che donò successivamente questo dipinto al nipote cardinale, Scipione Borghese, noto collezionista. Ecco perché il dipinto si trova ancora oggi nella collezione della Galleria Borghese.


San Girolamo scrivente (1605/06) - olio su tela - 112x157 cm

Fu dipinto dall’artista a seguito di una commissione del cardinale Scipione Borghese, noto collezionista d’arte e suo ammiratore. Nella Roma papalina della Controriforma in cui visse il Caravaggio, il tema di San Girolamo era molto in voga per il fatto che era stato il protagonista della Vulgata, ossia la traduzione della Bibbia dal greco al latino. Qui il Santo è ritratto nel suo studio mentre traduce il testo sacro. Sul tavolo c’è la classica iconografia del teschio che rappresenta un elemento di meditazione e di passaggio alla vita eterna. Il teschio illuminato dalla luce sembra dire ai fedeli che solo con la coscienza della morte si ha la vera visione della vita. Nella storia dell’arte c’erano state tante versioni della rappresentazione di San Girolamo ma nessuno aveva avuto la forza e la naturalezza del Caravaggio, che qui lo immagina come un anziano studioso avvolto nel suo manto rosso cardinalizio. Il santo sembra un burbero professore a cui andare a ripetizione un po’ intimoriti ma in realtà è un maestro saggio e benevolo.

Caravaggio dipinse altre due dipinti con lo stesso soggetto, uno è conservato nella concattedrale di San Giovanni a La Valletta (Malta) e l’altro è conservato al museo del monastero del Montserrat, vicino Barcellona. Avendoli visti tutte e tre, personalmente ritengo che questo San Girolamo della Galleria Borghese sia quello che mi piace di più.

San Giovanni Battista (1609-10) - olio su tela - 159x124 cm

San Giovanni Battista in questo dipinto è raffigurato molto giovane. L’opera fu completata dal maestro poco prima della sua morte. Quando lasciò Napoli in feluca per ritornare a Roma, il pittore portò con sé l’opera sperando di presentarla personalmente in dono al cardinale Scipione Borghese, in segno di gratitudine per aver promosso un decreto papale per la sua grazia. Purtroppo Caravaggio non ci arrivò mai a Roma dato che morì in circostanze misteriose proprio durante quel viaggio della speranza.

San Giovanni Battista, figlio di Elisabetta che era cugina di Maria, è raffigurato giovane in una posa semplice e rilassata, con lo sguardo pensieroso. Si ha la sensazione che l’artista abbia creato un ritratto di un pastorello appoggiato sullo sfondo di un tessuto drappeggiato di un ricco colore rosso, colore che allude al sangue versato durante il suo martirio. Nella mano sinistra ha un'esile canna, che è un riferimento alla vita di penitenza e di preghiera vissuta da Giovanni nel deserto. Alla sua destra, nella penombra, s’intravede un montone, simbolo della redenzione dell’uomo attraverso il sacrificio di Cristo. David con la testa di Golia e Bacchino malato


Davide con la Testa di Golia (1609/10) - olio su tela - 125x100 cm



È uno dei quadri più famosi del Caravaggio, dipinto durante il suo ultimo soggiorno a Napoli prima d’imbarcarsi per Roma.
È noto che a Napoli l’artista fu raggiunto dalla notizia che il cardinale Scipione Borghese, suo grande ammiratore e collezionista, stava caldeggiando il rilascio della grazia allo zio, Papa Paolo V. Come segno di ringraziamento, Caravaggio gli spedì questo quadro, con la promessa di consegnare altre opere al suo arrivo a Roma: erano in pratica il prezzo della fine delle sue tormentate peregrinazioni.
L’ossessione della sua decapitazione, a seguito della pena capitale che lo aveva colpito all’indomani dell’omicidio commesso a Roma, lo tormentava da molto tempo insieme alla volontà di espiazione e di speranza del proprio riscatto.
Il quadro evidenza un Davide che emerge dall’oscurità illuminato da una luce accecante che tiene in mano la testa di Golia, appena decapitato. È pacifico il fatto che l’immagine della testa di Golia è l’autoritratto del Caravaggio. Secondo un’interpretazione moderna, anche l’immagine di Davide sarebbe quella del pittore da adolescente, volendo in questo modo l’artista sottolineare come il giovane senza peccato uccide il vecchio peccatore come in una sorta di espiazione e di riscatto.



Bacchino malato (1593/94) - olio su tela - 67x53 cm

Gli studiosi del Caravaggio ritengono che questo sia stato uno dei primi quadri dipinti dal maestro, probabilmente il più antico che si conservi, durante la sua permanenza nella bottega dal suo maestro romano, il Cavalier d’Arpino.

Qui inizia la sua carriera iniziando a dipingere le prime nature morte e le mezze figure. Il quadro rispecchia la sua prima tendenza pittorica, ancora ispirata alla tipica tradizione lombarda. Bacchino malato sarebbe una raffigurazione di Bacco, che è un suo probabile autoritratto, caratterizzato da un forte naturalismo dovuto anche alla precaria condizione di convalescenza del pittore in seguito al ricovero per un calcio di cavallo subìto. Da notare la prima splendida raffigurazione di elementi di natura morta (uva, mele, pesche) presenti nel dipinto. Il quadro rimase, con altri, nello studio del Cavalier d’Arpino e fu requisito successivamente in questa bottega da Papa Paolo V per motivi fiscali. In realtà fu probabilmente un pretesto per consegnare le opere al nipote Scipione Borghese, avido collezionista dei dipinti del Caravaggio.


Madonna dei Palafrenieri (1606) - Olio su tela - 292x211 cm

Quest’opera, conosciuta anche come “Madonna della serpe”, provocò uno dei casi di rifiuto più celebri. Dopo averlo commissionato, la Confraternita pontificia rimosse dopo pochi giorni la pala da un altare della prestigiosa Basilica di San Pietro in Vaticano, per un’ambigua iconografia dovuta ad una serie di ragioni: il bambino era stato ritratto nudo e un po' cresciuto, le sembianze della Madonna erano quelle troppo reali di una prosperosa cortigiana (Lena Antognetti) molto nota in tutta la Roma del tempo, infine Sant’Anna era piuttosto anziana e riprodotta con un atteggiamento poco partecipativo.

Per questi motivi, la pala d’altare fu ceduta alla chiesa di Sant’Anna dei Palafrenieri. Poco tempo dopo, anche qui, decisero di non tenersi il quadro e così venne venduto ad un prezzo scontato al cardinale Scipione Borghese, ammiratore del pittore, che l’acquistò per arricchire la sua nutrita collezione d’arte personale. Come successo per la Morte delle Vergine, quando i dipinti del maestro non erano accettati per le finalità religiose per cui erano stati concepiti, venivano invece accolti con entusiasmo dai collezionisti per arricchire le loro collezioni private. La tela s’ispira ad un passo del Genesi: “Io porrò inimicizia fra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”. Tre personaggi sono presenti: la Madonna che, con l’aiuto di Gesù bambino, schiaccia la testa al serpente mentre Sant'Anna semplicemente osserva la scena. I primi due personaggi appaiono molto più dinamici rispetto a Sant'Anna, che è raffigurata statica e molto anziana.


MUSEI CAPITOLINI

I Musei Capitolini sono formati dal Palazzo dei Conservatori e dal Palazzo Nuovo, edifici che affacciano sulla Piazza del Campidoglio. È uno dei musei pubblici più antichi al mondo la cui creazione si fa risalire al 1471, quando papa Sisto IV donò alla città una collezione di importanti bronzi provenienti dal Laterano, tra i quali la celebre lupa capitolina. Successivamente. è stato arricchito con numerosi lasciti e donazioni. In questo grande complesso museale sono custoditi sia diverse preziose opere statuarie dell’antica Roma (nonché quelle rinascimentali e barocche), sia diversi arazzi ed affreschi celebri.

La celebre “lupa capitolina”

Fa parte del complesso museale anche la Pinacoteca Capitolina, che contiene diversi capolavori pittorici di Tiziano, Rubens, Carracci, Caravaggio e pittori caravaggeschi.


La Buona Ventura (1593-95) - olio su tela - 115x150 cm

Di questo celebre quadro, così come di altri del maestro, esistono due versioni. La prima versione è quella che si trova nella Pinacoteca Capitolina di Roma mentre la seconda versione si trova al Louvre.
Il dipinto è un esempio delle novità dirompenti introdotte nella pittura da Caravaggio, ossia la rappresentazione di una scena di vita di strada nella Roma del suo tempo, utilizzando dei modelli trovati per le vie, come una giovane e seducente zingarella che ha preso dolcemente la mano ad un giovane per predirgli il futuro. Partendo dal fondo della tela, l’autore costruisce uno spazio indefinito ma reso reale dalla luce naturale che invade il campo pittorico e costruisce forme e volumi. Tuttavia, il soggetto dell’opera non è solo quello che si vede. La giovane, nel prendergli la mano e senza farsene accorgere, con un gesto rapido gli sfila l’anello che l’ingenuo giovane ha al suo anulare destro. È un chiaro monito a non farsi ingannare dalle apparenze e, più in generale, a non cedere alle seduzioni dei falsi profeti.
Caravaggio stesso affermava che la natura l’aveva fornito di maestri a sufficienza e non aveva perciò bisogno di prendere come riferimento delle sue opere dei “modelli classici”.

Come in un altro famoso dipinto di questo primo periodo (I bari), Caravaggio, illustrandoci contemporaneamente la realtà e la bellezza, vuole dare un monito morale contro il malcostume della preveggenza o, come nei bari, del gioco d’azzardo.
Straordinari sono, come sempre, i dettagli pittorici come ad esempio qui la riproduzione del manico della spada del giovane, che è un autentico pezzo di bravura del maestro. Sembra davvero una fotografia! Rientra indubbiamente tra i miei quadri preferiti dell’artista.





San Giovanni Battista (1602) - Olio su tela - 129x94 cm



Questo bel dipinto, conosciuto anche come Giovane con un montone, è una delle sette versioni (anche se alcune sono incerte) che l’artista creò sul tema di "San Giovannino", ossia San Giovanni Battista da giovane.
In questa versione c’è l'ideale caravaggesco di bellezza. Sembra che la posa del modello utilizzato sia ispirato a quello di un famoso “nudo” di Michelangelo dipinto sul soffitto della cappella Sistina, che il Caravaggio naturalmente ritrae maggiormente al naturale. Il quadro fu commissionato dal nobile Ciriaco Mattei (lo stesso della Cena in Emmaus) per il compleanno del figlio maggiore ma ben presto venne acquistato dal cardinal Del Monte.
A dimostrazione del successo di questo tipo di quadro “da galleria” per collezionisti, esiste una copia simile nella galleria Doria Pamphili di Roma anche se la paternità di Caravaggio è riconosciuta unanimemente solo a questa versione presente nei musei Capitolini. 

La storia curiosa di questo quadro è che, dopo i passaggi di proprietà avvenuti nel corso dei secoli, se ne erano perse le tracce fino a quando nel 1950 non venne ritrovato nell’Ufficio del Sindaco di Roma per poi essere riposizionato nei musei Capitolini.

PALAZZO BARBERINI
(Galleria nazionale d’arte Antica)


Palazzo Barberini in Via Quattro Fontane a Roma è stata per secoli la residenza dell’omonima famiglia nobiliare che ha “prodotto” cardinali e papi. Solo diversi anni dopo l’unità d’Italia, nel 1895 fu trasformato in un museo per raccogliere opere provenienti da diverse collezioni private. Oggi è sede della Galleria nazionale d’arte antica che ospita molte opere pittoriche prestigiose, tra le quali quelle di artisti del calibro di F. Lippi, Raffaello, Tiziano, Tintoretto, El Greco, e naturalmente ben quattro dipinti di Caravaggio, nonché diversi altri d’artisti di scuola caravaggesca.

Palazzo Barberini – Scalinata di G. L. Bernini



San Francesco in meditazione (1605) - Olio su tela - 128x97 cm

Il dipinto è uno dei numerosi dilemmi caravaggeschi non ancora completamente risolti: ci sono due opere identiche che si contendono il titolo di opera originale: una si trova a Palazzo Barberini, l’altra nella chiesa dei Cappuccini di Santa Maria Immacolata di Via Veneto, dunque a poca distanza tra di loro.
Dal punto di vista storico, è certificato che il San Francesco in meditazione di Palazzo Barberini venne donato nel 1609 dal cardinale Pietro Aldobrandini alla chiesa di San Pietro a Carpineto Romano. Successivamente se ne erano perse le tracce, fino a che l’opera non fu “riconosciuta” dalla critica negli anni sessanta del Novecento. La versione oggi a Palazzo Barberini è qualitativamente migliore e si propende che sia l’originale, anche se potrebbe essere possibile che la versione nella chiesa dei Cappuccini sia una copia fatta o supervisionata dallo stesso Caravaggio. 

San Francesco è ritratto in un interno, probabilmente una grotta o una costruzione estremamente rustica. Intorno a lui non vi è nulla che possa distrarre lo sguardo dello spettatore dal Santo. Quest’ultimo, colpito da una luce che dà risalto all’orecchio destro ed al naso, rossi per il freddo, scruta un teschio illuminato che tiene tra le mani.
Indossa un umile saio, ormai logoro, che mostra buchi e rattoppi. A terra c’è una semplice croce che poggia su un tronco di legno. È un’immagine di grande umiltà, nello spirito della controriforma. È una composizione completamente all’opposto di quel San Francesco in Estasi che il Caravaggio aveva dipinto dieci anni prima per il cardinal Del Monte, il suo primo mecenate.


Giuditta decapita Oloferne (1603) - Olio su tela - 145x195 cm

In questo celebre dipinto entrato fortemente nell’immaginario collettivo moderno, Caravaggio rappresenta abbastanza fedelmente l'episodio biblico della decapitazione del condottiero assiro-babilonese Oloferne ad opera dell’eroina ebrea Giuditta che, allo scopo di liberare la propria città dal lungo assedio dell’esercito straniero, con uno stratagemma riesce a farsi ammettere nella tenda del generale nemico, con l’obiettivo di sedurlo, ubriacarlo e decapitarlo, portandone via la testa.

La scena è caratterizzata da una drammaticità teatrale senza precedenti perché il pittore, nel raffigurare un violento assassinio, permette allo spettatore di assistervi da vicino, di osservare i gesti e le emozioni dei protagonisti. Siamo nella tenda di Oloferne, caratterizzata da un drappo rosso che si mischia con l’oscurità. Il caratteristico drappo rosso, che sarà un segno distintivo di molte opere del maestro, appare qui per la prima volta in un suo dipinto.
Giuditta è bellissima, è vestita a festa con orecchini di perle. Con una mano tiene fermo per i capelli la testa di Oloferne, stordito dall’ubriacatura, con l’altra mano spinge con forza la lama della spada nel collo del condottiero, mentre il sangue schizza copioso. Colpisce l’incrocio di squadri tra Giuditta e Oloferne, che non è ancora morto e cerca di emettere un urlo che viene strozzato dalla lama della spada. Assiste inorridita alla scena la sua vecchia serva che sorregge con le mani il drappo nel quale andrà conservata la testa e portata via. Caravaggio ritrae Giuditta con le sembianze della cortigiana Fillide Melandroni, ossia una sua amica-modella che ritroviamo in altri suoi quadri capolavoro (Santa Caterina d’Alessandria, Marta e Maria Maddalena). La violenza della scena ha portato gli storici dell’arte ad ipotizzare che il pittore si sia ispirato alla triste vicenda della pubblica decapitazione di Beatrice Cenci, una giovane nobildonna accusata di aver ucciso il padre violento e depravato, che Caravaggio stesso assistette nella piazza di Castel Sant’Angelo nel 1599 insieme ai colleghi pittori Orazio ed Artemisia Gentileschi.

Presunto ritratto di Beatrice Cenci attribuito al pittore Guido Reni

Secondo il critico d’arte Tomaso Montanari, in “Giuditta decapita Oloferne” «possiamo già trovare precocemente un concetto compiuto dell’estetica Barocca, ossia che del brutto, dell’orrore e dell’estremo se ne fa una fonte straordinaria di diletto. In quest’idea di bloccare l’attimo supremo di un’azione c’è il meccanismo narrativo fondamentale di tutto quello che noi conosciamo come il Barocco, basti pensare che la celebre scultura dell’Apollo e Dafne del Bernini è basata sullo stesso meccanismo narrativo artistico, dove Dafne emette un urlo prima di essere trasformata in una pianta di alloro».

La storia di questo quadro, come altri del maestro, è particolare e va raccontata. Il dipinto fu commissionato dal ricco banchiere genovese, il conte Ottavio Costa, residente stabilmente a Roma, che lo raccomandò persino agli eredi nel suo testamento. Con lo scorrere dei secoli però se ne perse la memoria. Nel 1951 Pico Cellini, uno dei massimi restauratori del Novecento, dopo aver visitato la grande mostra dedicata a Caravaggio allestita a Milano da Roberto Longhi, ricordò di aver visto questa tela in un palazzo romano (famiglia Coppi) e la ricollegò allo stile caravaggesco. Risalito al dipinto, che fino ad allora era stato attribuito ad Orazio Gentileschi, il restauratore riuscì a fotografarlo e ne inviò l’immagine a Roberto Longhi, il quale attribuì senza indugio l’opera a Caravaggio. Forte di questa scoperta, la mostra dedicata a Caravaggio fu prorogata appositamente per poter esporre quest’opera “ritrovata”. Un’ulteriore conferma si ebbe quando sul retro del quadro fu trovata la sigla COC, ossia le iniziali del Conte Ottavio Costa. Al fine di non commettere gli errori del passato, che portarono alla dispersione di parte del grande patrimonio pittorico di Caravaggio, dopo una lunga trattativa, finalmente lo Stato italiano l’acquistò nel 1971 e lo collocò a Palazzo Barberini.
Rientra tra i capolavori assoluti del maestro ed è uno dei miei preferiti.


San Giovanni Battista (1604) - Olio su tela - 94x131 cm

Figlio di Elisabetta che era a sua volta cugina di Maria, Giovanni era dunque un parente di Gesù. Come si racconta nel Vangelo, la sua opera fu quella di preparare la strada alla predicazione del Cristo e fu colui che lo battezzò nel fiume Giordano.
San Giovanni Battista è stato sicuramente il soggetto più eseguito dall’artista, ne realizzò almeno otto versioni in momenti diversi della sua vita. Caravaggio rappresentò spesso la figura di Giovanni come un giovane solo nel deserto, all’epoca non era molto comune, ma nemmeno del tutto sconosciuta. Tale raffigurazione si basava su una breve affermazione del Vangelo di Luca: «il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele».
Intorno al 1604 Caravaggio dipinse due tele che raffiguravano San Giovanni Battista. La prima fu quella dipinta per il conte Ottavio Costa che, a seguito della dispersione della sua collezione antica, oggi si trova nel museo di Kansas City negli USA. La seconda fu questa opera che oggi è collocata nella Galleria nazionale d'arte Antica. Come il San Giovanni di Kansas City, la figura è stata spogliata dei consueti attributi che alluderebbero all'identità del santo, tra cui il tradizionale "mantello con peli di cammello", e vi è appena accennata la croce con bastoncini di canna. Sulla sinistra si staglia il tronco di un cipresso. Il santo è sbilanciato a destra mentre guarda verso sinistra ed è avvolto dal classico panneggio rosso, tipico del Caravaggio.

Caravaggio non è stato il primo artista ad aver raffigurato il Battista come un nudo maschile criptico, cioè che si tende a nascondere, ma vi ha introdotto una nuova nota di realismo e drammaticità. Il suo Battista ha le mani screpolate, rugose per la fatica, il suo torso pallido contrasta con l'oscurità dello sfondo. Questo perché come modello per questo quadro, il Caravaggio prende un vero ragazzo che si spoglia per la posa, al contrario ad esempio del San Giovanni Battista di Raffaello, che è una figura astratta.



Narciso (1597-99) - Olio su tela - 112x92 cm

Narciso è un personaggio della mitologia greca, un giovane cacciatore famoso per la sua bellezza che, insensibile all’amore, non ricambiò la passione di una ninfa. A seguito di una punizione divina, s'innamorò della sua stessa immagine riflessa in uno specchio d'acqua e morì cadendo nel lago in cui si specchiava.
Il mito di Narciso è qui celebrato ritraendolo proprio nel momento esatto in cui si china a bere in uno specchio d’acqua e viene rapito dal suo riflesso. Il pittore trasporta il mito nel suo presente, vestendo il ragazzo con abiti seicenteschi. Il risultato è un efficace gioco tra realtà ed illusione.

L’attribuzione del dipinto al Caravaggio divide la critica. Il primo ad attribuirlo al Merisi fu il grande critico d’arte Roberto Longhi nel lontano 1913 e da allora si sono accodati altri esperti. In tempi più recenti sono stati sollevati diversi dubbi ed alcuni critici d’arte l’hanno attribuito ad un pittore caravaggesco, lo Spadarino. Al di là della certezza dell’attribuzione, si tratta comunque di un’invenzione pittorica che non potrebbe sussistere senza l’arte rivoluzionaria di Caravaggio. L’unica documentazione storica ritrovata, nell’archivio di Stato di Roma, è una licenza di esportazione del 1645 intestata ad un certo Valtabelze in cui, fra altre opere in partenza per Savona, è indicato un dipinto del Caravaggio raffigurante Narciso. È probabile dunque che il dipinto possa essere stato dipinto per il cardinale Francesco Maria Del Monte durante il soggiorno del pittore nel palazzo Madama, abitato dal suo mecenate.

Antonio Pezzullo