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Massimo Di Quirico

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Gli scritti di Antonio Pezzullo








Marechiare: un classico della grande canzone napoletana!



“Marechiare” è una canzone della grande tradizione melodica del Belpaese, scritta più di un secolo fa dal poeta Salvatore Di Giacomo e musicata da Francesco Paolo Tosti.

L’elenco degli artisti che l'hanno interpretata è davvero infinito: dai leggendari tenori Enrico Caruso, Tito Schipa e Beniamino Giglio, ai tre celebri José Carreras, Placido Domingo e Luciano Pavarotti, fino ad arrivare ad Andrea Bocelli ed ai ragazzi de Il Volo. Naturalmente si sono cimentati con questa canzone anche grandi artisti napoletani d’ogni tempo come Roberto Murolo, Sergio Bruni, Lina Sastri, Mario Merola, Massimo Ranieri, Nino D’Angelo, solo per fare qualche nome.

La canzone nacque nel lontano 1886 e fu subito accolta favorevolmente, non solo dal pubblico ma anche dalla critica musicale dell’epoca. Riporto la recensione fatta da un giornalista milanese, che scriveva per un giornale musicale meneghino, riferendosi agli autori: “L’ultimo suo lavoro è uno dei non pochi ricordi di quel delizioso Mezzogiorno, dove i canti popolari escono spontanei, melodici, e per imitarli ci vuole un’attitudine particolare, della quale il Tosti è provvisto abbondantemente. Il canto napoletano, da lui recentemente pubblicato, è uno dei suoi migliori per il carattere giusto, la snellezza e il fuoco che lo riscalda. S’intitola Marechiare, dal nome di un paesello in riva al mare, ed i versi, molto graziosi, sono di Salvatore Di Giacomo, buon poeta popolare”.

Dopo oltre un secolo, quel giudizio può essere considerato ancora valido ad eccezione del termine “popolare”, in senso sminuito, come veniva dato dai contemporanei all’arte dell’autore. Sarà uno studio successivo del filosofo Benedetto Croce a valorizzare la figura del maestro, dimostrando la grandezza del poeta proprio grazie all’eccellenza della sua scrittura in versi. Oggi è considerato uno dei più grandi poeti della canzone napoletana della cosiddetta "epoca d’oro", insieme ai suoi colleghi Libero Bovio, E. A. Mario ed Ernesto Murolo.

Come molte canzoni classiche napoletane, Marechiare ha una “storia” che sta a metà tra la verità e la leggenda. Una prima versione racconta che il poeta Salvatore Di Giacomo, durante una gita “sotto costa” nel golfo di Napoli, fatta con degli amici a bordo di un piccolo vaporetto, passò davanti ad una finestra affacciata sul mare, che sul davanzale aveva un vaso con dei garofani. Da lì il passo fu breve, probabilmente il poeta la scrisse, una volta rientrato, in un’osteria nelle vicinanze. Una seconda versione racconta invece che fu solo il frutto della fantasia del poeta (che addirittura non conosceva nemmeno dove fosse il posto) e la scrisse seduto ad un tavolo dello storico Gran Caffè Gambrinus, già allora ritrovo di artisti ed intellettuali.

E’ indubbia la grande potenza evocativa del testo , che trasporta subito l’ascoltatore in quel posto magico di Napoli dove c’è la “fenestella” con un vaso di garofani sopra il davanzale, dove “quanno sponta la luna … pure li pisce ce fanno l’ammore” e le onde del mare cambiano colore, con l’acqua che “murmulea”, ossia si ode il mormorio delle onde! Si tratta di una serenata ad una ragazza napoletana con due bellissimi occhi (Chi dice ca li stelle so lucente, nun sape st’uocchie tuoje ca tu tiene nfronte!) di nome Carolina. L’innamorato è arrivato sotto quella finestra, accompagnato dal suono di una chitarra, dove è da tempo in attesa per scorgere la sua amata, esortandola a svegliarsi. Non si sa concretamente se la Carolina del testo sia veramente esistita ma una cosa certa è che il verso finale della canzone, col passare del tempo, si è trasformato in un vero e proprio modo di dire della lingua napoletana. Infatti, quel “Scetate Carulì ca ll’aria è ddoce” oggi si usa per esortare qualcuna/o a non restare immobile e ad agire! Va precisato infine che lo stesso titolo non significa “mare chiaro” come potrebbe sembrare ma deriva dall’antica espressione napoletana “mare chianu”, ossia mare calmo!

Anche la nascita della melodia , così calda ed ammaliante, è avvolta nella leggenda. Si racconta che il musicista Francesco Paolo Tosti la trasse ispirandosi alle note intonate da un posteggiatore. L’uomo ogni sera, prima di iniziare ad accompagnare col flauto le canzoni che cantava il suo compagno, per esercitarsi suonava prima quello stesso motivetto che apre Marechiare. Apro una parentesi per chi non comprende bene la lingua napoletana: non si deve confondere il termine posteggiatore con l’attuale parcheggiatore! La posteggia (o pusteggia) consisteva in un gruppo di pochi musicisti, che si riunivano in un posto (da qui l’origine della parola) pubblico e cominciavano ad intonare vecchie e nuove canzoni napoletane. Uno di loro cantava e gli altri lo accompagnavano col mandolino e chitarra, in certi casi con il flauto, violino e altri strumenti. In questo modo, si faceva musica in piena libertà, per ricavarne un gruzzoletto con cui sopravvivere.

Pertanto, possiamo affermare che Marechiare è una di quelle felici combinazioni in cui la canzone napoletana presenta entrambe le “anime” che da sempre l’ispirano: un’anima nobile e un’anima popolare.

In quella frazione del quartiere Posillipo che si affaccia sul mare, dove si trova fisicamente la “fenestella ‘e Marechiare”, è stata da tempo apposta una targa commemorativa per ricordare l’immortale melodia. Il posto è diventato altresì un’attrazione turistica, dove molti vengono a rendere omaggio alla straordinaria bellezza di questo grande classico.

Un’ultima curiosità: la variante “Marekiaro” è un’altra cosa! Ispirandosi alla celebre canzone, essa indica il nome che i tifosi azzurri hanno voluto dare affettuosamente ad uno dei calciatori più rappresentativi della recente storia della SSC Napoli, ossia quel Marek Hamsik il cui nome (e la cui classe) si abbina molto bene al titolo della celebre canzone!


Antonio Pezzullo