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Massimo Di Quirico

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Gli scritti di Antonio Pezzullo








Nero a Metà - La nascita di una stella




      "Nero a Metà" è uno splendido disco pubblicato da Pino Daniele nel 1980. Cronologicamente è il suo terzo LP e si colloca prima degli altri due capolavori (Vai Mò del 1981 e Bella 'Mbriana del 1982) che fanno parte di quella che personalmente definisco la "summa trilogia" dell'arte musicale di Pino.

      Questo lavoro, che lo consacra a livello nazionale, è un'opera di straordinaria freschezza compositiva e davvero rivoluzionaria per l'epoca, dove la musica d'ispirazione blues, jazz o funky era considerata di nicchia, dato che la musica prevalente in Italia era quella nazional-popolare e della rinascita festivaliera.

      Una curiosità: dopo la pubblicazione di "Nero a Metà", nel giugno 1980 Pino fu chiamato a fare da "supporter" ai due concerti italiani di Bob Marley, il re del reggae, tenutosi negli stadi di Milano e Torino, davanti a migliaia di spettatori che apprezzarono moltissimo l'esibizione del giovane artista partenopeo.

      L'album è indubbiamente un capolavoro assoluto, tanto è vero che si trova al 17' posto nella classifica dei 100 album italiani più belli di sempre, secondo la rivista specializzata Rolling Stone Italia.

      Innanzitutto partiamo dal titolo. L'album è interamente dedicato alla memoria di Mario Musella, il celebre cantante degli Showmen (vedi articolo dedicato) che era prematuramente scomparso l'anno precedente. Musicalmente Pino lo considerava un padre putativo: come l'altro suo amico James Senese, Mario Musella era un "Nero a metà", ossia un figlio della guerra, di madre napoletana e padre indiano d'America.

      Pino riesce a mettere insieme i più bravi musicisti della scena napoletana, solisti di grande mestiere e talento, che fanno parte del cosiddetto "Neapolitan Power", il noto movimento musicale nato all'ombra del Vesuvio: James Senese al sassofono, Gigi De Rienzo al basso, Ernesto Vitolo alle tastiere, Agostino Marangolo e Mauro Spina alla batteria, Rosario Jermano e Tony Cercola alle percussioni, Enzo Avitabile ai cori del brano "A me me piace 'o blues".


      Nei testi troviamo la massima espressione di quel Pino ribelle ed arrabbiato che fa un frequente uso della parolaccia (curiosamente è l'album dove ne troviamo di più), la quale però non è mai troppo forte o volgare, è usata per esprimere la rabbia, la schiettezza dei propri sentimenti, come un moto di personale ribellione alle ingiustizie sociali: spesso l'esprime anche con un'autoironia che non è facilmente intuibile in una lingua diversa dal napoletano. La Napoli cantata da Pino non è quella della tradizionale cartolina oleografica ma è la città difficile e complessa, dalle mille contraddizioni ma non senza una speranza per un futuro migliore. Altro tema ricorrente nell'album è il "nero", cioè il sentirsi diverso, emarginato, coi suoi disagi esistenziali.

      Dal punto di vista musicale, "Nero a Metà" può essere definito come uno dei più riusciti tentativi di sperimentare e creare una musica "globale", proveniente da varie parti del mondo, un genere musicale che è ancora lontano a venire e che sarà chiamato "World Music". Esperimento favorito dalla collocazione naturale della città di Napoli, un porto sempre aperto a molteplici influenze culturali, che arrivano ad influenzare anche la musica classica partenopea. L'occupazione alleata del dopoguerra, i numerosi sbarchi - in tempo di pace - dei marines americani dalle portaerei ancorate nel golfo di Napoli fino a tutto gli anni 70, influenzarono non poco i suoni che circolavano nei numerosi locali "americani" del quartiere Porto, lo stesso dove il giovane Pino passava ed ascoltava.
Se il maestro Renato Carosone fu cronologicamente il primo ad utilizzare quest'originale commistione tra l'inglese ed il napoletano, la lezione proseguì poi con due gruppi storici come gli "Showmen" e "Napoli Centrale". Fu però Pino Daniele a sublimarla, creando uno stile personalissimo con l'uso frequente nei testi dell'inglese insieme al napoletano (lingua primaria) e all'italiano.


      Il lato A inizia con "I Say I sto Ccà", il primo gioiello dell'album che ha già nel titolo la sintesi di quel mix inglese-napoletano. E' un'originale blues minore con melodie funky, con un'impattante armonica iniziale che cerca metaforicamente di fare un po' d'ordine "a tutto stu burdello ca ce stà".

      "Musica Musica" è un gran pezzo dalle ritmiche funky, sostenuto dal notevole sax di Senese, dove la sua dichiarazione d'amore alla musica ("è tutto quel che ho") si accompagna anche ad una denuncia verso la classe politica che pensa solo al proprio potere ("adesso vuoi una sedia, si ma una sedia elettorale"). Immancabile la parolaccia nel contesto della canzone, forse tra le più forti usate nei suoi testi, ma utilizzata come al solito per dare forza all'indignazione del suo stato d'animo.

      "Quanno Chiove" è una splendida ballata, dove dalle rasserenanti sonorità mediterranee dell'arpeggio di chitarra di Pino emerge lo splendido assolo del sax di James Senese.
La pioggia del testo è vista metaforicamente come una sorte di purificazione e di rinascita "tanta l'aria s'adda cagnà", un auspicio che rivolge alla sua Napoli ed in generale alla società del tempo. Il brano fu anche un singolo di grande successo.

      "Puozzo Passà nu' Guaio" e un rock-blues metropolitano, che racconta la storia di una fidanzata scappata via lasciando solo sofferenza e dolore nel protagonista, che non le manda a dire come si evince dal titolo stesso della canzone. La ruggente chitarra elettrica di Pino in questo brano è davvero notevole.

      "Voglio di Più" è uno dei più bei testi scritti da Pino e curiosamente è l'unico di questo LP completamente in italiano, forse proprio per far arrivare il suo messaggio ad un pubblico più vasto.
Innanzitutto, il testo contiene una forte denuncia contro la violenza e la criminalità organizzata (ho visto prestare le mani solo in cambio di un po' di rumore). Esso presenta persino passaggi "profetici" (io che ho visto terra bruciare... ed ho visto morire bambini nati sotto un accento sbagliato) che denunciano molti decenni prima il degrado del territorio ed il successivo fenomeno speculativo dei rifiuti tossici nella martoriata "Terra dei Fuochi". Il ritornello è un grido di dolore ma anche di speranza: "ma voglio di più di quello che vedi, voglio di più di questi anni amari... vivrò così cercando un senso anche per te".
Ma il capolavoro Pino lo costruisce musicalmente, dove sceglie di vestire quel nudo testo con delle stupende sonorità, attraverso un delicatissimo soft "blues" dedicato al popolo che vive all'ombra del Vesuvio, le cui sofferenze sono comuni a quelle del popolo nero che vive sul delta del Mississipi.
Lo struggente assolo finale della sua indimenticabile chitarra elettrica suggella quel grido di dolore e di speranza per un futuro migliore.

      "Appocundria" è un altro pezzo straordinario, una sorta di rumba in stile flamenco partenopeo che descrive in poco più di un minuto e mezzo, prima col testo poi con la sua stupenda chitarra classica, un sentimento simile alla malinconia, a metà strada tra la tristezza e la nostalgia: l'Appocundria è una sorta di fatalistica accettazione delle sorti della vita. La Treccani ha persino inserito questo termine, reso celebre proprio da Pino Daniele, nella sua celebre enciclopedia.


      Il lato B si apre con un'altra dichiarazione d'amore dell'autore: "A me me Piace 'o Blues". Il pezzo è un dinamico blues con sonorità funky e costituisce il "manifesto" del Pino prima maniera, una vera e propria valvola di sfogo. E' noto che il blues nasce e trae ispirazione dal disagio sociale dei neri d'America, per Pino c'è un'affinità con i napoletani ("pecchè so nato ccà, sai che so niro niro") e meridionali di quegli anni che erano visti con un certo "pregiudizio" dagli altri italiani: col suo blues lui vuole abbattere queste barriere culturali.

      "E so' Cuntento 'e Stà" è una tranquilla rumba sudamericana con il profumo dell'odore del mare partenopeo. E' una fusion dolce ed ammaliante sull'innocenza e bellezza dell'amore perchè "io sulo nun pozzo stà". Le tastiere di Ernesto Vitolo in questo brano sono molto originali.

      "Nun me Scoccià" è uno dei suoi più grandiosi blues, di stampo classico, dove troviamo un assolo di chitarra (con l'effetto wah wah in stile "Cream") tra i più memorabili della storia della musica italiana. Non è da meno il testo graffiante, dove l'irriverente scugnizzo partenopeo fa una satira contro i moralisti e gli intellettuali privi di concretezza. Il brano fu scritto insieme al batterista Mauro Spina e fu l'altro singolo di successo estratto dall'album.

      "Alleria" è una ballata dolcissima che richiama l'altro tema caro al popolo napoletano, ossia il bisogno di allegria come reazione alle difficoltà della vita; la sua stupenda voce, accompagnata dai suoi straordinari musicisti, sottolinea questo stato d'animo tipico dell'essenza partenopea: "Alleria, pe' 'nu mumento te vuò scurdà, che hai bisogno d'alleria, quant'e sufferto 'o ssape sulo Dio". Bellissimo il piano di Ernesto Vitolo che accompagna una straordinaria interpretazione vocale di Pino.

      "A Testa in Giù" è un brano dalle sonorità funky modernissime, dove c'è la rivelazione che "il feeling è sicuro, quello non se ne va, lo butti fuori ogni momento e tutta la tua vita sai di essere un nero a metà", con la quale Pino dice tutto, con una voce calda ed un ritmo particolarmente creativo.

      L'album si chiude con "Sotto 'o Sole", un felice incontro tra la Bossa nova ed il Jazz, tra i suoni del sud e del nord del continente americano. Nel brano Pino usa la sua voce come uno strumento musicale. Firmato insieme al batterista Mauro Spina, è il pezzo più sperimentale dell'album che lo chiude magistralmente.



      Con questo grandioso Pino Daniele "prima maniera" sarà sempre così, rivolgerà sempre un occhio alla sua Napoli (che racconta nuda e cruda senza mai cadere negli stereotipi) e l'altro al resto del mondo.



Pino, quanto ci manchi...

Antonio Pezzullo