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Massimo Di Quirico

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Gli scritti di Antonio Pezzullo









La Settimana Santa nell’Arte



La “Settimana Santa” comprende una serie di eventi che culminano con la Pasqua, la ricorrenza che racchiude in sé tutto il mistero della fede cristiana. Questi eventi sono senza dubbio tra i più rappresentati nella storia dell’Arte, grazie ad artisti che hanno impresso negli affreschi, sulle tavole o nelle tele, i più profondi recessi dell’animo umano. In ogni tempo, sono stati creati degli autentici capolavori che testimoniano ancora oggi la forza del messaggio evangelico.
Questa “pillola artistica” vuole essere un piccolo viaggio intorno al centro del periodo pasquale, precisando che i seguenti capolavori sono essenzialmente frutto di scelte dovute anche al fatto d’averli visti “dal vivo”.
Tutte le foto qui pubblicate sono esclusivamente quelle personali (all right reserved) tranne quelle diversamente indicate.
La “Settimana Santa” generalmente va dalla domenica delle Palme fino alla domenica di Pasqua. Per finalità artistiche, estendo il periodo fino alla “domenica in Albis”, ossia alla prima domenica dopo la Pasqua.

“Noli Me Tangere”
Beato Angelico

(affresco 180x146 cm)

Convento di San Marco
Firenze



Domenica delle Palme

“Ingresso di Gesù a Gerusalemme” - Giotto (1303-05) Affresco 200x185 cm. Cappella degli Scrovegni, Padova.

La Domenica delle Palme è quella che precede la Pasqua e segna l’inizio della cosiddetta Settimana Santa. La festa religiosa ricorda il trionfale ingresso a Gerusalemme di Gesù, in sella ad un’umile cavalcatura. Come viene descritto nei Vangeli, la folla lo accolse festante, agitando rami di palma e di ulivo o stendendo a terra i mantelli. Al fine di rendergli onore, la folla cantava celebri versi biblici: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nel più alto dei cieli».



Giotto di Bondone, nel grandioso ciclo pittorico della Cappella degli Scrovegni, raffigura l’esatto momento in cui alle porte di Gerusalemme Gesù, seguito dai suoi dodici apostoli, è in groppa ad un umile asinello mentre saluta la folla che lo accoglie trionfalmente. La profezia del profeta Zaccaria si è così avverata: “Esulta grandemente, figlia di Sion. Grida, figlia di Gerusalemme. Ecco, il tuo re verrà a te: è giusto e vittorioso, umile e cavalca un asino, un puledro figlio d’asina”.
L’asinello occupa un posto speciale nel dipinto di Giotto perché è stato sempre un protagonista nella vita di Gesù: l’umile equino aveva scaldato il bambino nella povera capanna di Betlemme, aveva trasportato la Sacra famiglia in Egitto per sfuggire alle persecuzioni di Erode ed appare anche nell’ora cruciale della settimana di passione del Cristo. L’asino è il simbolo del “Cristo dolente” in opposizione al cavallo, simbolo dei potenti delle terra in molte rappresentazioni.




Gesù sta dunque per varcare le porte di Gerusalemme e ne uscirà solo con il carico della croce sulle spalle. La trasposizione di Giotto è molto fedele alle sacre scritture: sullo sfondo si vedono degli uomini saliti sugli alberi per raccogliere rami di palma o ulivo mentre in primo piano ci sono tre figure che sembrano scandire altrettanto fotogrammi di una sequenza cinematografica.
Da destra verso sinistra, un uomo vestito in rosa sta iniziando a togliersi il mantello, davanti a lui c’è un altro uomo piegato che si sta sfilando il mantello verde dalla testa, infine un terzo, prostrato, lo sta stendendo sotto le zampe del somarello. Gesù osserva la scena con grande compostezza salutando la folla.
Giotto riesce a rappresentare la scena con un realismo artistico che non si era mai visto prima poiché fino ad allora, nell’arte, dominava l’astrattismo bizantino: perciò è il primo vero pittore moderno, che sancirà la nascita dell’arte pittorica occidentale.











Lunedì Santo

“Maddalena Penitente” (1533-1550) di Tiziano Vecellio

Palazzo Pitti (FI) – Museo di Capodimonte (NA) – Pinacoteca Ambrosiana (MI)


Il Lunedì Santo è il giorno della Settimana Santa in cui si celebra il giorno dell’amicizia, perché ricorda la giornata in cui Gesù, accompagnato dai suoi discepoli, fu ospite a cena a casa di alcuni suoi amici, a Betania (vicino a Gerusalemme). Nei Vangeli è raccontato l’episodio che una donna, probabilmente Maria Maddalena, prese un olio profumato assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli mentre tutta la casa si riempiva dell’aroma di quel profumo. Giuda Iscariota, il discepolo che stava per tradirlo, la rimproverò per lo spreco che aveva fatto del prezioso unguento, adducendo che poteva essere venduto per un ricavato ai poveri. Gesù però rispose a Giuda di lasciarla fare, quell’unguento sarebbe servito per il giorno della sua sepoltura e che i poveri li avevano sempre con loro, ma non sempre avrebbero avuto lui.
La figura di Maria di Magdala (o Maddalena), una meretrice che cambiò radicalmente vita da quando divenne discepola di Gesù, è una delle donne più note dei Vangeli. Fu tra le poche donne ad assistere alla crocifissione, divenne la prima testimone oculare e la prima annunciatrice dell'avvenuta resurrezione del Cristo.
Per i suddetti motivi, rappresento il lunedì Santo con l’opera “Maddalena Penitente”, uno dei capolavori di Tiziano Vecellio. Giorgio Vasari, il padre della storia dell’arte, racconta che il grande pittore del Rinascimento dipinse almeno due celebri quadri aventi questo stesso soggetto.

La Maddalena penitente degli Uffizi


Il primo ed il più antico (1535) fu fatto per il duca di Urbino. Nel corso dei secoli, a seguito di successioni ereditarie, arrivò a Firenze, dove tuttora si trova a Palazzo Pitti.
La seconda versione fu fatta nel 1550 per il cardinale Alessandro Farnese. Oggi si trova a Napoli nel Museo di Capodimonte proprio perché proveniente dalla celebre collezione Farnese, ereditata dall’ultima dei Farnese (Elisabetta) e trasmessa al figlio Carlo di Borbone.

La Maddalena penitente di Capodimonte

In entrambe le opere, la Maddalena penitente è ritratta a mezza figura vicino all'ampolla degli unguenti che ci aiuta a riconoscerla. La santa è di una bellezza dirompente, con dei bellissimi capelli biondi e lunghi, mentre alza gli occhi al cielo in segno di estasi. Dal punto di vista pittorico, i capelli sono di una consistenza così reale e lucente che esprimono il marchio di fabbrica del maestro veneziano, ossia il celebre “biondo Tiziano”.
Tra le due opere sopra, anche se molto simili, esistono però alcune differenze.
Nel quadro fiorentino (olio su tavola 85x68 cm) la Maddalena è rappresentava in maniera più sensuale, tramite un parziale nudo artistico (all’epoca consentito) col corpo della Santa ricoperto dagli splendidi capelli. Di contro, il paesaggio presente nello sfondo è cupo e burrascoso.
Invece, nella versione napoletana (olio su tela 122×94 cm) la Santa, pur raffigurata nella stessa identica posa, è vestita poiché fu dipinta dopo il Concilio di Trento che aveva dato una indicazione più restrittiva sulle rappresentazioni sacre. Il paesaggio nello sfondo qui è meno cupo e prevale il sereno.


La Maddalena penitente dell’Ambrosiana


Il successo di questo soggetto artistico fece sì che Tiziano dipinse anche altre versioni, tra cui un'altra, di datazione intermedia alle due sopra, arrivata alla Pinacoteca ambrosiana voluta dal cardinale Federico Borromeo. In quest’ultima versione (olio su tela 96x74) del 1540. l’artista riprende la versione fiorentina, con la piccola differenza che la santa ha un anellino al mignolo della mano destra e lo sfondo è più indefinito.
In tutte le tre versioni, prevale lo schema classico della raffigurazione della Maddalena con i suoi tre elementi caratteristici: la bellezza, il penitenziale e l’estasi. In ogni caso, la maestria di Tiziano fa sì che lo sguardo dello spettatore sia immediatamente attratto dal volto rapito in estasi della santa.


Martedì Santo

“La cacciata dei mercanti dal tempio” (1684) – Luca Giordano

Affresco, Chiesa dei Girolamini - Napoli


Il Martedì Santo rappresenta il giorno dello sdegno, momento della Settimana Santa in cui si ricorda l’episodio di Gesù che scaccia i mercanti dal tempio, accusandoli di aver trasformato un luogo di preghiera in un luogo dedito al commercio ed al profitto personale.
Per questa giornata ho scelto un’opera d’arte meno nota al grande pubblico che merita però di essere riscoperta.
“La cacciata dei mercanti dal tempio” è un affresco di Luca Giordano, uno dei più influenti pittori del barocco europeo, che fu eseguito nel 1684 per la controfacciata della Chiesa dei Girolamini di Napoli che, insieme all'annesso convento, arricchito da una quadreria ed una biblioteca, è uno dei più importanti complessi monumentali della città.

Il grande affresco illustra l’episodio narrato nei Vangeli. Gesù, già entrato in città, va a visitare il Tempio di Gerusalemme ma lo trova completamente invaso da mercanti e banchieri che alla luce del sole fanno i loro affari legati a quel culto. Gesù è indignato e scaccia dal tempio tutti coloro che lo rendono luogo di mercato piuttosto che luogo di preghiera.
La scena raffigurata dal Giordano si svolge in un edificio antico, aperto all’esterno, sorretto da colonne. In alto ci sono alcuni angeli sopra una nube che illumina la scena con una forte luce, calda e dorata che si riflette sugli edifici dai colori pastello, creando forti effetti di chiaroscuro. Al centro dell’opera vediamo la figura di Gesù con il flagello tra le mani mentre ai lati vediamo la fuga un’umanità variegata, dalle molteplici espressioni e dalle originali pose.
“La cacciata dei mercanti dal tempio” è un’opera di notevole bellezza, che si caratterizza soprattutto per il forte senso di movimento. Nella scena domina la concitazione della fuga dei mercanti che cercano di mettere in salvo le loro cose e la sorpresa di chi si è appena accorto di quello che sta succedendo. L’aspetto originale di questo affresco è che la stessa architettura reale diventa protagonista della scena, basta osservare il mercante che, per portarla in salvo, sta calando una cesta ad un altro in basso: ricorda la tipica scena della “calata del panaro” che si sarebbe potuto vedere nei vicoli di Napoli.

L’affresco meriterebbe un restauro che molto probabilmente ci consentirebbe di rivedere i brillanti colori originali ed apprezzare al meglio tutto l’assieme. In ogni caso, con “La cacciata dei mercanti dal tempio” l’artista racchiude in uno spazio limitato la raffigurazione di un mondo esterno. Si ha l’impressione che il grande maestro del barocco napoletano sia riuscito a raggiungere non solo l’occhio attento di chi guarda, ma anche il cuore dello spettatore.

Mercoledì Santo

“Il tradimento di Giuda” (1308-11) – Duccio di Boninsegna

Tempera su tavola, Museo dell'Opera del Duomo (Siena)


Il mercoledì Santo è il giorno della tristezza perché segna l’inizio del periodo più buio, che si raggiunge col tradimento di Giuda.
Se il bacio di Giuda e la conseguente cattura di Cristo (episodio che avviene dopo l’Ultima cena) è stato ampiamente raffigurato nella storia dell’arte, raramente troviamo opere d’arte che raffigurano la fase precedente, quando Giuda si accorda con i capi del sinedrio allo scopo di tradire il suo maestro e consegnarlo al prezzo di trenta denari d’argento.

Questa piccola tavola fa parte di una predella, ossia la parte inferiore, divisa in scomparti, di una maestosa pala d'altare molto celebre, ossia la cosiddetta “Maestà”, il capolavoro pittorico di Duccio di Boninsegna, che apre la stagione gloriosa della pittura senese.
La “Maestà” è una grande tavola a due facce: la parte anteriore, che era originariamente rivolta ai fedeli, raffigura una monumentale Madonna con bambino in trono, attorniata da angeli e santi sullo sfondo dorato.


La parte posteriore, che era rivolta al sacerdote, raffigura la storia della passione e resurrezione del Signore. Nel retro della predella, una di queste tavole raffigura proprio la scena in cui l’artista raffigura un gruppo di sacerdoti che, radunati fuori ad un edificio di culto ebraico (raffigurato però in stile Trecentesco), consegnano a Giuda i trenta denari.
Questa semplice tavola di pittura del Trecento, un lontano secolo profondamente religioso, esorta ancora oggi a vigilare perché il male può essere sempre in agguato.




Giovedì Santo

“Ultima Cena” - Leonardo da Vinci (1494-98)
Dipinto a parete 460x880 cm. Cenacolo Vinciano Santa Maria delle Grazie, Milano.

Il Giovedì Santo è il giorno in cui viene ricordata l’ultima cena del Signore, durante la quale istituisce il sacramento dell’eucarestia, il ministero sacerdotale e consegna ai discepoli il comandamento dell’amore. Inoltre, durante la stessa, Gesù predice il tradimento di uno di loro.
L’Ultima Cena, detta anche "Cenacolo Vinciano", è un dipinto a parete datato 1494-1498 e conservato nell'ex-refettorio rinascimentale del convento adiacente al santuario di Santa Maria delle Grazie a Milano. Il duca di Milano, Ludovico Sforza (detto il Moro), aveva eletto la chiesa di Santa Maria delle Grazie a luogo di celebrazione della sua casata e per questo incaricò Leonardo di decorare una parete del refettorio. Oggi è considerato il capolavoro di Leonardo ed una delle opere più importanti e significative dell'intero Rinascimento italiano. Inoltre, il complesso che lo ospita è riconosciuto come “patrimonio mondiale” dell’umanità.



Il dipinto si basa sul celebre episodio evangelico. Durante l’ultima cena, dopo aver istituito il sacramento dell’Eucarestia, Gesù annuncia che verrà tradito da uno dei suoi discepoli.
Seppur ispirata alla tradizione dei cenacoli presenti a Firenze, Leonardo rinnova la tradizionale iconografia, alla ricerca del significato più intimo ed emotivamente rilevante dell'episodio evangelico. Leonardo in quest’opera capolavoro ci riporta soprattutto i "moti dell'animo" degli apostoli, sorpresi e sconcertati all'annuncio dell'imminente tradimento di uno di loro.
Alla destra di Gesù, troviamo Giovanni e Pietro che, sorpresi, si parlano tra di loro. Poi c’è Giuda, che si riconosce perché, a differenza degli altri apostoli, al momento dell’annuncio del maestro si ritrae all’indietro. Seguono Andrea, Giacomo e Bartolomeo che guardano stupiti il maestro. Alla sinistra di Gesù invece troviamo Tommaso, Giacomo maggiore e Filippo che lo guardano con altrettanta meraviglia cercando quasi di discolparsi coi loro gesti, Matteo e Taddeo si sono voltati verso Simone che allarga le braccia.



L’opera è innovativa, sia perché Giuda per la prima volta è rappresentato insieme agli altri apostoli e non da solo ad un lato del tavolo, sia per l’effetto di continuità tra lo spazio reale del refettorio e quello dipinto, ben reso grazie all’uso magistrale della prospettiva.



Purtroppo, il grande dipinto murale versa da secoli in un cattivo stato di conservazione, nonostante i continui restauri dell’era moderna che cercano di preservarlo, sia a causa dell’umidità della parete sia perché Leonardo utilizzò una tecnica sperimentale, un dipinto murale a secco, che se da un lato gli diede una maggiore flessibilità realizzativa, dall’altro lato si è rivelata nel tempo molto meno resistente della tradizionale tecnica dell’affresco.



Venerdì Santo

“Crocifissione” - Andrea Mantegna (1457-59)

Tempera su tavola 67x93 cm. Museo del Louvre, Parigi.


Il Venerdì Santo è il giorno in cui si ricorda la passione, crocifissione e morte del Signore. La croce diventa così l’emblema del cristianesimo, il simbolo della redenzione del mondo.



La Crocifissione di Andrea Mantegna è uno splendido dipinto che possiamo dividere idealmente in due parti, superiore ed inferiore.



Nella parte superiore troviamo centralmente la solenne figura del Cristo sulla croce mentre ai lati sono collocate le croci dei due ladroni. Il suo corpo, dal colorito pallido, è ormai privo di vita, mentre le figure dei ladroni appaiono doloranti e sofferenti. In questa parte del dipinto domina anche il magnifico paesaggio nello sfondo: sotto un cielo ormai azzurro e sereno, impreziosito da splendide nuvole che si stanno dissolvendo, troviamo un’imponente rupe rocciosa che porta ad una cittadina rialzata, che è una raffigurazione ideale della città di Gerusalemme.
Nella parte inferiore, alla base della croce, l’artista riesce a introdurre molti personaggi. Innanzitutto, alla sinistra del dipinto, sono raffigurati l’immagine di Maria, madre di Gesù, riconoscibile dal manto blu scuro, sorretta dalle pie donne. Sono tutte immerse nel dolore, capace di coinvolgere emotivamente gli spettatori, nonostante i loro sguardi non siano rivolti a questi ultimi. Il volto della Madonna cade verso il basso e si contraddistingue da quello delle altre figure femminili anche per il colorito pallido che riprende quello utilizzato per la raffigurazione del Cristo.

Dettaglio Crocifissione: foto internet


All’estremo lato sinistro troviamo San Giovanni con le mani giunte in preghiera e profondamente addolorato, che volge il capo in alto rivolto verso il Cristo in segno di profonda devozione. Sul terreno vediamo anche dei teschi che richiamano allegoricamente il luogo della crocifissione e di morte (Calvario o Golgota significa infatti “luogo del cranio“).
Se al lato sinistro si vedono personaggi profondamente addolorati, al lato destro lo scenario cambia completamente. Innanzitutto ci sono alcuni soldati romani che, seduti, si stanno giocando a dadi la veste di Gesù su un tabellone colorato di forma circolare. Ci sono inoltre molte persone che si spostano a piedi o a cavallo nella totale indifferenza. L’unico personaggio che sembra interessarsi è un cavaliere che alza lo sguardo per osservare il corpo crocifisso del ladrone di destra. Il Mantegna aggiunge inoltre altri personaggi che non occupano un ruolo primario ma che conferiscono grande realismo alla rappresentazione, come i due in primo piano, tagliati, che sembrano essere colti di sorpresa mentre stanno conversando. Infine, altri ancora vengono rappresentati sullo sfondo mentre si incamminano verso quella cittadina rialzata, ideale raffigurazione di Gerusalemme.
Questa splendida opera originariamente faceva parte di un grande pala d’altare rinascimentale che era situata nella chiesa di San Zeno a Verona, A seguito delle spoliazioni napoleoniche del 1797, alcuni pezzi vennero trafugati e portati in Francia. Con la Restaurazione, purtroppo non tutti i pezzi di questa meravigliosa pala d’altare ritornarono in patria ed è questo il motivo per cui la Crocifissione del Mantegna si trova ancora oggi a Parigi.


Sabato Santo

Trasporto di Cristo al sepolcro (1507) – Raffaello Sanzio

Olio su tavola, 184x176. Galleria Borghese, Roma.


Secondo Giorgio Vasari, il padre della Storia dell’Arte, questa magnifica pala d’altare venne commissionata dalla nobildonna perugina Atalanta Baglioni per onorare la memoria del figlio Grifonetto, assassinato nel 1500 nel corso delle faide interne alla stessa famiglia per la signoria di Perugia.
L’opera venne collocata nella cappella di famiglia nella Chiesa di San Francesco al Prato di Perugia. Il successo dell’opera contribuì a far conoscere il talento di Raffaello, al punto che lo stesso artista venne chiamato subito dopo a Roma alla corte del Papa.
Per cento anni il dipinto rimase nella chiesa ma nel 1608, su richiesta del papa Paolo V, fu inviato a Roma. Il papa lo donò subito dopo al nipote cardinale, Scipione Borghese, avido collezionista d’opere d’arte, che l'aveva ammirato durante i suoi studi universitari nel capoluogo umbro. Questa pala era la parte centrale di un polittico che, a seguito delle espoliazioni napoleoniche di fine Settecento, fu trafugato e portato a Parigi. Dopo la caduta di Napoleone, solo la pala centrale fu restituita alla collezione Borghese, mentre la predella con le Virtù teologali rimase ai Musei Vaticani e la cimasa con Dio Padre fra angeli finì a Perugia nella Galleria Nazionale dell'Umbria.






Inizialmente la pala (detta anche Pala Baglioni o Deposizione Borghese) doveva essere una Deposizione ma venne resa da Raffaello più drammatica e dinamica grazie alla scelta del nuovo soggetto del Trasporto di Cristo al sepolcro,
La complessa scena è ambientata in un paesaggio naturale, dove nello sfondo più lontano s’intravede la città di Gerusalemme. Nella parte intermedia è ben visibile il monte Calvario con le croci ancora erette, dove c'è ancora la scala utilizzata per deporre il Cristo. In basso a sinistra, s'intravedono i gradini che portano al sepolcro, dove Gesù verrà deposto.
Dettaglio: foto internet
In primo piano c’è Gesù morto, con l’incarnato pallido e le piaghe ancora sanguinanti, che viene trasportato a braccia in un lenzuolo da Nicodemo che, affaticato, sta salendo sullo scalino di pietra e sorregge il peso maggiore del corpo di Gesù. Lo aiuta Giuseppe d'Arimatea che contestualmente guarda verso lo spettatore. Dietro di lui c’è San Giovanni con le mani giunte ed affranto dal dolore.
Al centro si trova Maria Maddalena che guarda Gesù con un dolore incolmabile. Colpisce la delicatezza con cui lei tiene la mano fredda senza vita di Gesù: è uno dei punti poeticamente più alti e commoventi dell'opera. Raffaello raffigura il volto della Maddalena con quello della moglie di Grifonetto. Quest’ultimo è proprio il giovane trasportatore raffigurato in primo piano.
Segue il gruppo delle pie donne che sostengono la Madonna, la quale è svenuta dal dolore e viene tenuta in vita dalla donna dietro di lei. Un’altra le sta reggendo il capo reclinato sulla spalla mentre un'altra donna inginocchiata allunga le braccia per sostenerla. Il volto della Madonna è quello della madre di Grifonetto, Atalanta Baglioni, che commissionò il dipinto a Raffaello.

Con quest’opera Raffaello riesce ad innestare, in una scena sacra di grande drammaticità, l’altrettanto dolore provocato dalla faida sanguinaria che aveva colpito la famiglia Baglioni. Il dipinto è caratterizzato da una ricchezza di colori e da un magnifico chiaroscuro che dona alle figure una plasticità statuaria ed armonica. Il linguaggio artistico dei corpi, rappresentati con realismo ed armonia, è come se parlassero agli spettatori. Infine, straordinario è l’incrocio continuo dei loro sguardi e dei loro gesti, che ne fanno uno dei capolavori del grande maestro urbinate.
  Dettaglio: foto internet


Pasqua del Signore

“Resurrezione” - Piero della Francesca (1458-63)

Pittura murale 225x200 - Museo Civico, San Sepolcro.

La Pasqua (o Domenica di Resurrezione) è la festa cristiana per eccellenza, che commemora la resurrezione di Gesù dai morti. Essa rappresenta non solo il “passaggio” dalla morte alla vita ma anche il risveglio alla vera vita.
Una delle rappresentazioni più celebri di questa grande festa è sicuramente la “Resurrezione” di Piero della Francesca, uno dei più grandi pittori del Quattrocento.



La Resurrezione è un affresco caratterizzato da una potente solennità, da una composizione piramidale e dalla frontalità del Cristo. 
L’artista rappresenta l’evento nel momento solenne in cui il Cristo risorto, dopo la sua morte, si alza dal sepolcro, mentre attorno a lui quattro soldati romani, vestiti in abiti Quattrocenteschi, stanno dormendo. Cristo è rappresentato in posizione eretta e tiene in mano un vessillo che riporta l’insegna dei crociati. La figura di Cristo, posta al centro della composizione, divide in due parti il paesaggio: sulla sinistra troviamo un luogo morto, dal terreno arido e dagli alberi coi rami secchi, assimilabile alla stagione invernale, mentre sulla destra invece troviamo un paesaggio vitale, verde e rigoglioso, col cielo limpido, assimilabile alla stagione estiva. I due scorci stagionali presenti nell’opera sono una chiara allegoria del ciclo della vita.
Altro tema molto importante all’interno di quest’opera straordinaria è senza dubbio il contrasto tra veglia e sonno, dove nella parte inferiore gli uomini hanno bisogno di riposo, mentre Cristo è sempre vigile. Tra gli uomini ai piedi del sepolcro, quello vestito in abito marrone è un autoritratto di Piero della Francesca. Il fatto che l’asta del vessillo cada proprio dove si trova lui non è casuale: potrebbe indicare un ideale collegamento con la sua ispirazione artistica.

Dettaglio: foto internet


Molto interessanti sono anche i colori utilizzati nell’opera, ad esempio quelli dei vestiti dei soldati che si alternano tra un soggetto ed un altro.
Quest’opera d’arte fu a lungo dimenticata e la sua riscoperta si deve ai racconti dei primi viaggiatori inglesi della metà dell’Ottocento. Negli anni venti del Novecento, la “Resurrezione” venne lodata anche dallo scrittore britannico Aldous Huxley che in un suo famoso scritto la definì come «la più bella pittura del mondo».
Questa celebre definizione contribuì a risparmiare la città di Sansepolcro dal bombardamento dell'artiglieria alleata durante la Seconda guerra mondiale: il capitano britannico Anthony Clarke interruppe il fuoco del bombardamento sulla città Toscana, mentre i tedeschi erano in fuga, dopo essersi ricordato dello scritto di Huxley. Un piccolo miracolo legato alla “Resurrezione” di Piero della Francesca!

 

Lunedì dell’Angelo (Pasquetta)

“Cena in Emmaus” (1601) – Caravaggio

Olio su tela, 141x196 cm. National Gallery of Art, Londra.

Il dipinto scelto è quello del 1601 e si trova nella National Gallery di Londra. Esiste anche un’altra versione con lo stesso soggetto del 1606 che si trova alla Pinacoteca di Brera a Milano.


La Cena in Emmaus s’ispira all’analogo episodio, tra i più celebri del Vangelo secondo Luca.
Subito dopo la Pasqua, due discepoli si allontanano da Gerusalemme e si mettono in cammino sulla via per Emmaus. Mentre discutono tra di loro, all’improvviso sono affiancati da uno straniero che chiede il perché di quell’animata discussione. Pur meravigliandosi del fatto che il viandante fosse così forestiero da non sapere che cosa fosse successo, i due gli raccontano tutto ciò che era avvenuto a Gerusalemme in quel fine settimana, fino alla scomparsa del loro maestro. Mentre il viandante li affianca nel cammino, contestualmente spiega loro nel dettaglio le sacre scritture che preannunciavano quegli eventi. Nel momento in cui sta per andarsene, colpiti da quella sapienza, i discepoli lo invitano a cena, come riporta il passo evangelico: «resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino»

Il quadro del Caravaggio è un’istantanea meravigliosa di quel momento culminante, quando durante la cena lo sconosciuto compie il gesto della benedizione del pane e del vino. Proprio in quel preciso istante, i discepoli finalmente comprendono: Cleofa a sinistra sta sobbalzando dalla sedia mentre Giacomo a destra allarga le braccia per la meraviglia. Solo l’oste non è consapevole di ciò che sta succedendo, pur mostrando stupore. Il Cristo risorto apparso ai discepoli è qui rappresentato con un volto giovane, con le fattezze del buon pastore ed il suo braccio proteso in avanti dà l'impressione di profondità spaziale così come le braccia allargate del discepolo.

Cena in Emmaus – dettaglio (foto internet)

Strepitosi sono i dettagli pittorici: la bellezza delle pieghe della tunica del Risorto, la tavola imbandita con un magnifico cesto di frutta in primo piano. Caravaggio ci dà un saggio della sua maestria nel dipingere stupende nature morte molto realistiche, tipico della scuola pittorica lombardo-veneta, basti osservare la mela leggermente bacata.

Questo magnifico dipinto è uno dei capolavori del maestro.



Domenica in albis

“L’incredulità di San Tommaso” (1600-01) - Caravaggio

Olio su tela, 107x146 cm. Bildergalerie, Postdam.


Il quadro faceva parte della collezione di un’antica famiglia romana: i Giustiniani. Il dipinto fu concepito come un “sopra porta” e quindi si poteva vedere dal basso verso l’alto. A seguito della dispersione della cospicua collezione, il dipinto arrivò in Prussia nel 1816 quando fu acquistato dallo stato tedesco. Dopo vari trasferimenti, scampando alle distruzioni della Seconda guerra mondiale, oggi si trova alla Pinacoteca (Bildergalerie) di Potsdam del Palazzo reale di Sanssouci, vicino Berlino.
La vicenda rappresentata è tratta da un altro celebre episodio evangelico. Dopo la Resurrezione, Gesù apparve una prima volta nel cenacolo ai suoi discepoli ma in quell’occasione era assente Tommaso, che non credette al loro racconto. La settimana dopo Gesù apparve di nuovo nel cenacolo ai discepoli e stavolta c’era pure Tommaso. Allora avvicinandosi a quest’ultimo lo esortò: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”
Caravaggio raffigura l'apostolo Tommaso mentre infila un dito nella ferita del costato di Gesù, il quale accompagna benevolo la sua mano, con gli altri due discepoli che osservano la scena. Fantastico è il gioco di luce che illumina il dubbio e lo stupore di Tommaso con il corpo del Risorto. Gli apostoli, a differenza di Gesù, sono vestiti come dei poveri pellegrini in abiti Seicenteschi. I corpi sono ravvicinati, le quattro teste quasi si toccano. Il quadro ha una forza essenziale, è il Vangelo che offre a Caravaggio la possibilità di parlare con la migliore lingua che conosce, quella dei corpi, senza trascendenza.
Ancora una volta, il linguaggio dei corpi della pittura di Caravaggio è potente ed espressivo, ne sentiamo quasi la carnalità, arriva subito allo spettatore: qui l’artista ci dice che non è risorto un fantasma ma un vero e proprio corpo!
Qualche critico d’arte ha osservato che in quest’opera Caravaggio non ha dipinto solo l’incredulità di San Tommaso, ma anche la nostra incredulità di uomini moderni.

Antonio Pezzullo