Gli scritti di Antonio Pezzullo
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NAPOLI CENTRALE - la resistenza artistica del Neapolitan Power
I "Napoli Centrale" sono stati uno dei più importanti gruppi jazz-rock italiani. Sono annoverati tra i pionieri del cosiddetto "Neapolitan Power", il grande movimento musicale che, nato all'ombra del Vesuvio a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, avrebbe influenzato per oltre tre decenni la musica non solo partenopea ma anche italiana.
I "Napoli Centrale" nacquero a seguito dello scioglimento di un'altra gloriosa band seminale del Neapolitan Power, di cui ho già parlato: The Showmen, il primo gruppo rhythm & blues italiano. Nel 1970 il cantante e bassista Mario Musella lasciò gli Showmen per tentare la carriera da solista. Senza uno dei suoi punti di riferimento, il gruppo si sfaldò. Gli altri due membri fondatori, Franco Del Prete e James Senese, fondarono una nuova band chiamandola "The Showmen 2", arruolando nuovi musicisti. Pur mantenendo il ruolo di sassofonista, James Senese iniziò anche a cantare per necessità, dato che era difficile sostituire la voce potente ed armoniosa di Mario Musella, col quale sarebbero comunque restati in ottimi rapporti, fino alla prematura scomparsa di quest'ultimo avvenuta nel 1979. Il suono degli Showmen 2 si discostava però dal rhythm & blues per andare verso il rock progressivo, che in quel periodo era molto in voga tra i gruppi italiani. Nel 1972 pubblicarono un solo omonimo album con un'etichetta locale, senza grandi riscontri di pubblico. La band non aveva nelle corde quel genere di musica anche se aveva dato una propria particolare interpretazione. Per effetto delle sue origini metà americane e metà napoletane, James sentiva un forte legame con la cultura americana: oltre alla sua predilezione per il rhythm & blues, seguiva le nuove tendenze del jazz e della fusion.
Spinto dalla suddette influenze, nel 1974 James Senese (insieme a Franco Del Prete) fondò i "Napoli Centrale". I membri iniziali erano: James Senese al sassofono e voce, Franco Del Prete alla batteria, Mark Harris al piano elettrico e Tony Walmsley al basso e chitarra, un americano e un inglese che vivevano a Napoli, perfettamente integrati. Sembra che il nome del gruppo sia stato suggerito da uno dei presentatori dell'allora celebre trasmissione radiofonica "Per voi giovani", il napoletano Raffaele Cascone: il nome della principale stazione ferroviaria del capoluogo partenopeo, il luogo d'incontro dei viaggiatori, voleva simboleggiare anche l'incontro tra diverse culture musicali.
Nel 1975 pubblicarono il loro primo lavoro che fu chiamato proprio "Napoli Centrale", un album che col tempo sarebbe diventato una pietra miliare del jazz-funky italiano. La maggior parte dei brani erano delle piccole jam-session dove i musicisti avevano una grande libertà espressiva, mettendo in mostra il proprio talento.
La copertina, che si apre come un libro, mostra i componenti del quartetto di spalle, che camminano insieme a due bambini per una fangosa strada di campagna, sotto un cielo nuvoloso, in un paesaggio molto scarno fatto di alberi potati circondati dagli antichi vigneti ad alberata, allora tipici della campagna napoletana. La musica, composta da James Senese, è basata su sonorità jazz-fusion (si sentono gli influssi di grandi maestri come John Coltrane, Wayne Shorter, ecc.) ma dal carattere - è questa l'originalità - squisitamente mediterraneo. I testi sono scritti interamente da Franco Del Prete e l'opera è concepita come una sorta di concept album sul legame che ogni napoletano ha con la propria terra, quella stessa terra che da "benedizione degli antichi" si può trasformare nella "maledizione dei moderni".
Il brano simbolo del disco è "Campagna", con l'impattante testo di Franco Del Prete che, originario di Frattamaggiore (comune in provincia di Napoli che allora aveva ancora una vocazione agricola nella fertile Campania Felix), conosceva bene quella realtà in quanto sin da giovane aveva osservato le fatiche del duro lavoro dei campi e lo sfruttamento dei braccianti agricoli con stipendi minimi da parte dei proprietari terrieri. Secondo molti fan, la stessa copertina del disco è una foto dell'allora campagna di Frattamaggiore, dove oggi si trova il nodo autostradale d'ingresso dell'asse mediano.
Il senso di rivalsa e di frustrazione dei contadini è evidente nel celebre testo: "Campagna, campagna, còmme è bella 'a campagna, ma è cchiù bella pe' 'o padrone, ca se rienghie 'e sacche d'oro, e 'a padrona sua signora ca se 'ngrassa sempre e chiù, ma chi zappa chesta terra, pe' 'nu muorzo 'e pane niro, cu' 'a campagna se ritrova stracquo, strutto e culo rutto". La campagna dei "Napoli Centrale" non è dipinta con gli stereotipi edulcorati della "rugiada che mi bagna" o "l'aria pura ed il contatto con la natura" ma è quella dei sacrifici dei lavoratori dei campi, fatti di levate all'alba, gran sudore e fatica, sfruttamento e caporalato, il tutto per portare a casa quel poco necessario per vivere. Visti con l'odierna prospettiva, i versi di Franco sono ancora modernissimi, sono solo cambiati i soggetti ed i luoghi: gli immigrati di colore sfruttati nelle campagne della cosiddetta "Terra di Lavoro", ossia la grande zona agricola nella provincia di Caserta. Per contro oggi nel napoletano (compreso Frattamaggiore), anche per effetto della crescita demografica e del conseguenziale sviluppo dell'edilizia residenziale, la campagna è quasi del tutto sparita.
Un altro brano notevole è l'altra jam session di "A Gente 'e Bucciano", che denuncia il fenomeno migratorio dello spopolamento dei centri rurali del sud a favore delle fabbriche del nord senza però miglioramenti significativi della propria condizione, dato che ora non è più la campagna che li sfrutta ma una moderna catena di montaggio: "Ma 'a fàmma è chhiù forte d'ammore pe' 'a terra e 'a gente 'e Bucciano è emigrata nel Nord, nun puteva cchiù campà, mo va in fabbrica a faticà, jettann' 'o stess' sànghe e 'a salute e in cchiù se sente gente fernuta". E' pur chiedendosi il perchè, la riposta non può che essere fatalistica ed affidata al celebre ritornello "Pecchè? Pecchè? Pecchè? Pecchè 'o Papa nun è 'o Re!". Per la cronaca, Bucciano è un piccolo comune agricolo in provincia di Benevento, preso a simbolo dello spopolamento delle campagne del sud Italia. Nell'album ci sono anche brani con influenze progressive come il notevole "Viecchie, mugliere, muorte e criaturi" che ha un andamento lento e cadenzato, oltre ad incalzanti pezzi strumentali come in "Vico Primo Parise n. 8" che ha la ritmica più complessa di tutto l'album.
Nel 1976 il gruppo pubblicò il suo secondo album "Mattanza" che mantenne la stessa formula vincente del precedente. La formazione venne però in parte cambiata, dato che c'erano due nuovi musicisti come Pippo Guarnera al piano e Kevin Bullen al basso. C'era anche la partecipazione di un giovane musicista di talento come Agostino Marangolo alla batteria che in alcuni brani si affiancava a Del Prete. Quest'ultimo, oltre che ai testi, si dedicava anche alle percussioni.
Il disco si differenzia leggermente rispetto al precedente per la presenza di canzoni che hanno un impatto più razionale come in "Sotto a suttana" e "Sotto e n'coppa", ma è sempre la componente ritmica che domina, il vero marchio di fabbrica della band. C'è anche un brano particolare, che nel prologo richiama alcuni motivetti della musica popolare napoletana per poi diventare una jam-session convulsiva come "Simme iute e simme venute" e la jazz-fusion di "Sangue misto". Molto originale è anche il breve brano "O Nonno Mio" che è un addolorato blues in onore della vecchia saggezza popolare: "E fiore, m' arraccumanno e fiore. Dicite a gente che nun e voglio e fiore. Primmo pecchè p'addore n'à o pozzo chiù sentì. E pe' sicondo nun voglio cà pure che appriesso a me, cierti fior annà murì".
Curiosamente, il tecnico del suono di due brani del disco è addirittura Bobby Solo! Anche quest'album è pieno di tematiche sociali grazie ai soliti convincenti testi di Franco Del Prete che vengono cantati-gridati dalla voce ruggente e soul di James Senese. L'uso sistematico del dialetto napoletano è un altro marchio di fabbrica del gruppo che si poneva allora come il megafono della coscienza di Napoli, la città dall'antico animo nobile che non si arrendeva al degrado culturale imposto dalle condizioni di vita sfavorevoli che, in una specie di circolo vizioso del contesto economico locale, potevano alimentare la malavita.
Quella dei Napoli Centrale era una sorta di "resistenza artistica" alle distorsioni presenti nella loro terra che facevano passare in secondo piano il valore della sua grande storia e cultura. Una lezione che, come vedremo, sarebbe stata ben appresa e tramandata da uno dei loro allievi più illustri: Pino Daniele.
La fase storica dei Napoli Centrale si chiuse nel 1977 con "Qualcosa ca nu'mmore", che della trilogia iniziale rappresentava forse l'album meno riuscito anche perchè Senese si avventurava per la prima volta a scrivere i testi di diversi brani ma che non avevano la stessa forza dirompente e poetica di Franco Del Prete. Proprio in questo periodo nella band suonava al basso anche un giovanissimo Pino Daniele. E' sicuramente l'album più sperimentale della trilogia che presenta brani come O Nemico Mio, Nun Song Na Vacca, A Musica mia che r'è, dalle tematiche sociali meno esplicite rispetto a quelle dei precedenti album. Con questo disco finisce il periodo d'oro del gruppo.
Dopo quest'album, il gruppo andò in un lungo letargo. Nel frattempo Franco Del Prete collaborò con diversi grandi artisti della musica italiana, sia come autore di testi che come batterista; James Senese a sua volta si concentrò sull'attività concertistica e solista. In questa nuova veste d'eccellente strumentista partecipò ad importantissimi progetti di altri colleghi, in particolare del giovane talento di Pino Daniele, per il quale suonò nei primi leggendari dischi come l'omonimo "Pino Daniele", "Nero a Metà" e "Vai Mò". Sarà proprio Pino l'artista che porterà il "Neapolitan Power" alla sua forma più sublime e farà conoscere quel grandioso movimento anche al di fuori dei confini nazionali.
Il gruppo si riformò solamente nel 1992 ma tra alti e bassi non fu più quello di prima. Solo tra il 2015 ed il 2016 ci fu la mini rinascita dei "Napoli Centrale", che fecero tantissimi concerti in tutta Italia con qualche tappa all'estero. L'album del 2016 chiamato "O Sanghe" vide nuovamente Franco Del Prete collaborare ai testi. Nello stesso anno l'album vinse la targa Tenco come miglior album in dialetto.
I Napoli Centrale hanno lasciato una grande eredità musicale. Pur senza aver mai raggiunto pienamente il successo commerciale su scala nazionale, pur essendosi sciolta e ricomposta più volte, sempre ruotando intorno a Senese e Del Prete, ancora oggi è considerata una delle band più rappresentative del jazz-rock italiano.
Purtroppo il grande Franco Del Prete ci ha lasciato nel febbraio del 2020 ma le voci di Napoli non muoiono mai...
Antonio Pezzullo
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